Gregorio VII dal Dictatus papae all’esilio a Salerno

I. ILDEBRANDO DI SOANA

Probabilmente di umili origini, Ildebrando di Soana (†1085) intraprese la carriera ecclesiastica presso la chiesa di Santa Maria sull’Aventino grazie all’intervento di un proprio conoscente, priore della chiesa stessa, qui venendo da subito in contatto con i principi della riforma cluniacense. Collaboratore di molti pontefici prima di lui, alla morte dell’ultimo di essi, papa Alessandro II (†1073), venne acclamato Papa a furor di popolo su esortazione del cardinale Ugo Candido, detto anche Ugo di Remiremont (†1098).

Quando venne consacrato pontefice con il nome di Gregorio VII, nel 1073, quest’uomo inflessibile e indomito poté accelerare la riforma della Chiesa cui tanto teneva. Da subito mise in chiaro le proprie posizioni e, come i suoi ultimi predecessori, non diede conto della nomina all’imperatore, il giovane Enrico IV di Franconia (1050-1106), a testimonianza della volontà di affrancare la Chiesa dal potere laico, creando già una frattura con l’erede di Enrico III il Nero (1016-1056).

II. LA CHIESA SECONDO PAPA GREGORIO VII

Presto, papa Gregorio VII convocò due sinodi.

Il primo nel 1074, immediatamente dopo l’elezione, vide la condanna della simonia, la compravendita delle cariche ecclesiastiche, e del nicolaismo, il concubinato diffuso all’interno del clero, una piaga che tanto distoglieva l’animo dalla vita religiosa e contro il quale si erano mossi anche i Patarini.

Il secondo, tenutosi nel 1075, ribadì quanto già affermato un anno prima, ma vi si aggiunse la proibizione dell’investitura laicale del pontefice, richiamandosi al “Decretum in electione papae” cui aveva già lavorato al tempo del pontificato di Niccolò II, al secolo Gerardo di Borgogna (980-1061), che l’aveva emanato nel 1059.

Si colloca all’incirca in questi anni la redazione di un documento fondamentale per comprendere le intenzioni di Gregorio VII nell’ambito della riforma della Chiesa. Si tratta delle 27 tesi, o asserzioni, di cui è costituito il “Dictatus Papae”, un manifesto teso a garantire la superiorità nei confronti delle altre diocesi e l’indipendenza della Chiesa di Roma dai legami laicali che la tenevano unita all’impero.

Nelle intenzioni del pontefice, solo la chiesa di Roma, sede della cattedra dell’apostolo Pietro che direttamente dal Figlio di Dio ricevette il potere di fondare la Chiesa, era superiore alle altre chiese. E solo il Papa, quale successore di Pietro, aveva il potere di giudicare chiunque, anche l’Imperatore.

Una posizione precisa e netta, significante lo sforzo del pontefice di creare un’istituzione talmente forte da non necessitare della presenza dell’Imperatore quale custode; una Chiesa rafforzata nel fervore religioso, senza mondane distrazioni.

I rapporti tra pontefice e imperatore non poterono che incrinarsi. I due si scontrarono apertamente in occasione dell’elezione di Tedaldo (†1085) quale arcivescovo di Milano, nomina voluta da Enrico IV, pur sapendo le posizioni del pontefice nei confronti dell’investitura laica.

Bastò un pretesto al giovane sovrano della dinastia salica per cercare di frenare l’agire del pontefice. Difatti, nel 1075, durante la celebrazione della messa in Santa Maria Maggiore, papa Gregorio VII fu aggredito e catturato dal prefetto Cencio. Fu subito liberato dai propri fedeli, mentre gli assalitori si rifugiarono presso Enrico IV, che – ritenendo l’aggressione un segno di debolezza del pontefice – cercò di mettere alle strette il nemico.

A Worms, nel 1076, si tenne un concilio in cui Gregorio VII venne accusato, dallo stesso cardinale Ugo Candido che ne aveva favorita l’elezione, di esser salito sulla Cathedra Petri tramite una elezione illegittima e di frequentare donne, chiara allusione ai rapporti di vicinanza e amicizia che il pontefice ebbe con Matilde di Canossa (1046-1115), da lui stesso definita “l’ancella di San Pietro”.

Celere la risposta del pontefice: scomunicò l’imperatore e ne liberò i sudditi dai giuramenti fatti in suo favore.

III. CANOSSA, PUNTO DI NON RITORNO

La scomunica, con tutto quello che ne conseguì, ebbe l’effetto di isolare Enrico IV dai suoi stessi sudditi, che gli intimarono di riottenere il favore del papa.

Pur essendo giovane e indocile, Enrico IV non fu uno stolto. Comprese benissimo che il perdono papale equivaleva a riottenere la fiducia perduta e, consigliato forse anche dal padrino Ugo di Cluny (†1019), intraprese il viaggio per incontrare il pontefice.

Una partita in cui giocarsi il tutto e per tutto, nella cornice del castello di Matilde di Canossa, cugina dell’imperatore, ma da alcuni anni fervente sostenitrice del pontefice.

Giovane al pari del cugino, la gran contessa, discendente dalla nobile famiglia che per anni si era inserita nelle lotte del papato, rivestì in quell’occasione il ruolo di mediatrice insieme ad Adelaide di Susa (1016-1091), suocera dell’imperatore, e al già ricordato Ugo di Cluny, anima dell’abbazia di Cluny da cui nel secolo precedente erano partiti i primi fermenti di rinnovamento della Chiesa.

Per ottenere il perdono papale il giovane sovrano fu costretto a rimanere per tre giorni fuori dalle mura del castello, umiliandosi a piedi nudi e prostrato a terra nel gelido Gennaio del 1076. Perdono che doveva essere concesso, se il penitente agiva secondo la normale procedura di perdono. Il pontefice quindi fu obbligato a perdonare il giovane sovrano, così riaccolto nella comunità dei fedeli.

Quella che passò alla storia come l’umiliazione di Enrico IV divenne il momento da cui iniziò anche l’isolamento del pontefice. Enrico IV, invece, seppur mostratosi contrito e pronto a farsi ben volere, in realtà diede di nuovo spazio a quel senso di rivincita contro il pontefice che si manifestò all’indomani della pace fatta.

IV. PAPA GREGORIO VII E L’ESILIO A SALERNO

Dopo Canossa, nel giro di pochi anni la situazione comunque degenerò. Rodolfo di Svevia (1025-1080), cognato di Enrico IV, venne incoronato re a Magonza.

Nel 1080 il pontefice scomunicò nuovamente Enrico IV e confermò Rodolfo di Svevia come re. La risposta di Enrico IV fu la nomina di un nuovo Papa nella persona dell’arcivescovo Guiberto di Ravenna (†1080): l’antipapa scelse il nome di Clemente III. Forte di questo nuovo alleato, dal 1081 al 1084 il giovane Enrico IV tentò l’assedio di Roma per quattro volte, cercando di chiudere la partita con papa Gregorio VII. Questi, rinchiuso a Castel Sant’Angelo, attendeva impaziente l’intervento di Roberto il Guiscardo (†1085), allora impegnato in guerra a Corfù contro Alessio I Comneno (1048-1118).

Nello stesso 1084, Enrico IV si fece incoronare imperatore dall’antipapa Clemente III insieme alla consorte Berta (1051-1087). Roma e le campagne romane subirono prima i saccheggi delle truppe dell’imperatore, poi quello perpetrato dai normanni del Guiscardo, finalmente giunti a salvare il pontefice, ma che si abbandonarono a terribili eccessi verso il popolo romano che, in tali circostanze, abbandonò il pontefice al suo destino.

Costretto a essere scortato dal Guiscardo a Salerno, le ultime parole del pontefice, riportano un’amara considerazione: «ho amato la giustizia, ho odiato l’iniquità, perciò muoio in esilio». Morì proprio a Salerno, nel 1085.

V. CONCLUSIONI

Dalla riforma cluniacense, al contrasto alla simonia e al concubinato del clero. Dal rafforzamento morale a quello politico della Chiesa all’interno delle relazioni con gli imperatori, fino ad arrivare alla lotta per le investiture che vedrà ancora per molti anni potere religioso e potere laico scontrarsi fino a giungere al concordato di Worms del 1122, voluto da papa Callisto II, al secolo Guido di Borgogna (1060-1124), e dall’imperatore Enrico V (1081-1125).

Questi furono i passi compiuti durante il periodo conosciuto come il “Secolo oscuro del papato”. Molti pontefici, come Leone IX, al secolo Brunone di Egisheim-Dagsburg (1002-1054), e Niccolò II, sentirono la necessità di intervenire per imporre un’azione moralizzatrice all’interno del clero, ma fu con Gregorio VII che si raggiunse un livello più avanzato, una volontà di manifestare la superiorità della Chiesa sull’Imperatore stesso, l’esigenza di creare una consapevolezza della grandezza cui bisognava giungere, dopo molti anni di papi cortigiani, nefandezze e sottomissione al potere laico. Forse volle troppo, in tempi in cui ancora i due poteri necessitavano l’uno dell’altro, ma la sua azione garantì l’indipendenza di cui il Papato aveva bisogno per assicurare alla Cristianità la necessaria separazione tra potere laico e potere religioso.

In buona sostanza, Gregorio VII contribuì, senza alcun dubbio, a creare un assetto della Chiesa molto simile a quello oggi in vigore. Di fatto, favorì un percorso di trasformazione che condusse la Chiesa stessa a darsi una struttura più marcatamente verticale, incentrata su una figura pontificale più forte e autorevole.

VI. FONTI

Ferdinand Gregorovius, Storia di Roma nel medioevo dall’età carolingia al XI secolo, vol. II, ed. Res Gestae, 2016

Barbero A., Le parole del papa: da Gregorio VII a Francesco, ed Economica Laterza

Cantarella G.M, Gregorio VII, Salerno Editrice.

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