Enrico II (parte I) – L’ultimo esponente dei Ludolfingi

  • Categoria dell'articolo:Senza categoria
  • Autore dell'articolo:
  • Tempo di lettura:6 minuti di lettura

Dopo la morte di Ottone III, avvenuta nel 1002 a Castel Paterno, si apriva nuovamente la problematica per la successione al trono vacante. La decisione era importante, ne andava della stabilità del regno nel suo complesso e i grandi duchi ne sentivano la necessità anche in questo momento, proprio come lo era stato alla morte di Ottone II (955-983).

In un primo momento si era pensato ad Ottone di Carinzia (950-1004), parente prossimo del defunto imperatore, ma al rifiuto di questi, il problema era rimasto irrisolto. Altri pretendenti si erano fatti avanti, fra questi il marchese Eccardo di Meissen (932-1002), che era stato collaboratore di Ottone III e aveva battuto a Castel Sant’Angelo il patrizio romano Crescenzio (†998), ribelle ed ostile alla dinastia sassone, ucciso poi nell’impresa.

Eccardo aveva cercato di forzare la mano per far accettare la propria candidatura intervenendo anche nella riunione che si sarebbe dovuta tenere a Werla, facendola di fatto fallire. Il colpo di mano non era però bastato al nobile Eccardo per garantirgli la buona riuscita dei suoi propositi: egli infatti fu ucciso a Pohlde.

Si apriva allora la strada a un altro parente di Ottone III: il duca Enrico IV di Baviera (973-1024), figlio di quell’Enrico II (951-995) il Litigioso che era stato per anni una vera spina nel fianco tanto del defunto imperatore sassone quanto del padre di lui Ottone II.

Enrico era un cugino di Ottone III, appartenente ad un ramo collaterale della famiglia allargata della dinastia di Sassonia, sostenuto nell’elezione tanto da alcuni duchi sassoni quanto dalle sorelle di Ottone III, Adelaide (977-1032) e Sofia (978-1039), ma questo non garantiva un successo immediato. Lo stesso Enrico doveva agire per far accettare la propria candidatura, mostrandosi anche negli atti di ossequio alla salma dell’imperatore appena defunto come il reale successore di questi. Egli accompagnò la salma di Ottone III nelle varie città in cui venne portata; chiese le insegne regali all’arcivescovo di Colonia Eriberto (970-1021), il quale tuttavia tenne nascosta la Sacra Lancia e per tale motivo era nato un attrito tra i due.

Nel frattempo si presentava all’orizzonte anche la candidatura di Ermanno di Svevia (†1003), che voleva impedire a Enrico di vincere la partita. Questi allora non perse tempo e si fece incoronare il 6 Giugno del 1002 dall’arcivescovo Villigiso di Magonza (940-1011), cui spettava il compito di consacrare i sovrani tedeschi. In tal modo assicurò a sé stesso la corona dei Franchi Orientali e garantì all’arcivescovo un primato rispetto al rivale Eriberto. Le questioni politiche non erano mai separate da quelle religiose: antipatie e rancori potevano portare alla perdita o all’acquisizione di un primato.

Sul versante italico la situazione era diversa: qui all’indomani della morte del sovrano era già stato scelto un re nella persona di Arduino d’Ivrea (955-1015). Enrico in quel periodo si trovava a fronteggiare la ribellione della Polonia pertanto aveva appreso della situazione attraverso i vescovi, — tra cui anche il vescovo Leone di Vercelli (†1026), oltre ad alcuni nobili ostili ad Arduino d’Ivrea — che ne sollecitavano l’intervento.

Una prima risposta di Enrico alle loro richieste fu quella di inviare un piccolo esercito guidato tra gli altri da Ottone di Carinzia allo scopo di contrastare le manovre del rivale.

Sfortunatamente per loro, Arduino riuscì nell’impresa di bloccare le manovre degli alleati interni che avevano sollecitato l’intervento di Enrico impadronendosi delle chiuse dell’Adige e, messo allo sbaraglio l’esercito guidato da Ottone di Carinzia, che subiva anche la defezione di alcuni reparti, rimase incontrastato vincitore della partita.

È verso la fine del 1003 che Enrico decise di intraprendere personalmente una spedizione, peraltro di nuovo sollecitata dagli oppositori di Arduino, per risolvere la spinosa questione italica, cosa che effettivamente avvenne, essendo rimasto Arduino anche privo di alleati e costretto a constatare la superiorità di forze cui poteva beneficiare Enrico. Questi alla fine entrava in Pavia dove nel 1004 veniva incoronato re d’Italia.

Con l’incoronazione e il rivale che aveva preferito trovare rifugio nel castello di Sparone, sembrava andare tutto per il meglio per il sovrano. Eppure, proprio la città di Pavia, resasi protagonista di una subitanea rivolta contro di lui e il suo esercito, aveva dimostrato al sovrano che gli animi erano ancora agitati.

La città, messa a ferro e fuoco per volere di re Enrico, vide perire nel combattimento anche il cognato di questi, Giselberto, fratello della consorte Cunegonda.

A pochi mesi dall’incoronazione egli lasciava il regno italico, consapevole e forse amareggiato delle ostilità che ancora dovevano essere sedate.

FONTI

– Thietmar di Merseburg, Cronaca, introduzione e traduzione di Taddei M, presentazione di Ronzani M, appendice di P.Rossi, Pisa University Press, 2018;

– Milani, M, Arduino e il Regno Italico, Ist. Geogr. Dea, 1988;

– Ferdinand Gregorovius, Storia di Roma nel medioevo dall’età carolingia al XI secolo, vol II, ed, Res Gestae, 2016;

– Keller, H Gli Ottoni una dinastia imperiale fra Europa e Italia (secc X e XI), Carocci editore, 2021.

Lascia un commento