Cristianesimo e teologia – Capitolo VII

1. Il cristianesimo nel III secolo: a) da Settimio Severo a Filippo l’Arabo.

Nel III secolo, durante il quale l’Impero romano avrebbe conosciuto una lunga e grave crisi, la fede tradizionale conobbe profonde trasformazioni. Culti misterici di origini orientali, come il mitraismo e quello del Sol Invictus, furono inseriti nella religione ufficiale, mentre il cristianesimo continuava ad essere una religio illicita. Aderente a quei culti fu certamente Settimio Severo (146-211), salito al trono, primo della sua dinastia, nel 193. In realtà, questo sovrano non emanò provvedimenti contro i cristiani: anzi, fonti del tempo sembrano dimostrare come lo stesso Augusto li proteggesse dall’ostilità popolare. Tuttavia, egli non ostacolò i funzionari che, in alcune aree, soprattutto africane, usarono metodi brutali nei confronti dei credenti in Dio. I martiri furono molti nella Tebaide, la provincia che includeva l’intero alto Egitto, e in Numidia. Fra questi, le sante Perpetua e Felicita, barbaramente uccise a Cartagine nel 203.

Nei decenni successivi, fra Caracalla (188-217) e Alessandro Severo (208-235), i cristiani potettero godere di una certa tolleranza: anzi, l’ultimo dei Severi favorì il sincretismo religioso ed esistono fonti secondo cui aveva intenzione di dedicare un tempio a Gesù e di inserirlo tra gli dei. Lo stesso imperatore, però, avrebbe rinunziato al progetto quando gli indovini gli fecero presente che, in quel caso, le conversioni al cristianesimo sarebbero state tantissime, con conseguente nocumento per i culti romani. In tale periodo, la Chiesa ebbe dunque opportunità di crescere esponenzialmente e le comunità non furono più costrette a nascondersi. Al contrario, queste diventarono attive in opere caritatevoli, anche perché potevano gestire beni ereditati da persone abbienti che avevano sposato la fede.

Poco tenero nei riguardi dei cristiani fu invece Massimino il Trace (†238). Di là della condanna inflitta a papa san Ponziano (†235/236) ed a sant’Ippolito di Roma (†235/236), di cui si è già trattato nel presente lavoro, diversi ecclesiastici, in particolare cappadoci e siriani, furono deportati in Pannonia, ove avrebbero affrontato il giudizio dello stesso imperatore, residente nella provincia per via della sua campagna contro i Germani.

Per gli undici anni successivi alla morte del Trace, le fonti non riportano provvedimenti repressivi adottati dai sovrani nei confronti degli appartenenti al credo nato in Palestina. Addirittura, ne esistono alcune secondo cui Filippo l’Arabo (†249) sarebbe stato cristiano. Se vero, si tratterebbe del primo Augusto della storia ad avere fede in Dio.

2. Segue: b) la persecuzione di Decio. Treboniano Gallo.

Successore di Filippo l’Arabo fu Decio (†251), il cui interesse era restaurare la grandezza ed i valori di Roma, fra cui la religione degli avi. Una volta al potere, fece arrestare alcuni componenti del clero cristiano, per poi far assassinare, nel gennaio del 250, il pontefice san Fabiano.

Alcuni mesi dopo, il sovrano promulgò un editto con cui tutti i cittadini dell’Impero erano obbligati ad offrire un sacrificio pubblico agli dei ed a lui stesso. Per verificarne l’ottemperanza, furono istituite delle commissioni che visitavano centri e villaggi. La pena, per i disobbedienti, era l’arresto, cui seguivano la tortura e sovente la morte. Tale provvedimento, per inciso, rappresenta la prima persecuzione sistematica contro i cristiani. Questi ultimi, in conseguenza, si divisero in tre categorie: i lapsi, ossia coloro che accettavano l’ordine imperiale, abiurando la fede; i libellàtici, che si procuravano documenti falsi attinenti all’esecuzione dei comandi di Decio; martiri e confessori, che in qualche caso riuscivano a salvarsi con la fuga. Fra questi ultimi, san Cipriano (†258) e san Dionisio (o Dionigi) di Alessandria (†264).

La persecuzione di Decio cagionò centinaia di vittime. Molte sono rimaste ignote, ma certamente fra esse ci furono san Babila di Antiochia, tre suoi discepoli – i santi Urbano, Prilidano ed Epolono – e sant’Alessandro di Gerusalemme.

Le tensioni fra Roma ed i cristiani continuarono con il successivo imperatore Treboniano Gallo (†253). Per il vero, questi non emise alcun editto di persecuzione, ma nel 252 ordinò l’arresto del pontefice, san Cornelio, che fu tradotto a Centumcellae (l’attuale Civitavecchia), dove sarebbe morto un anno dopo, per i rigori cui fu sottoposto o forse per decapitazione.

3. Segue: c) la persecuzione di Valeriano.

Nel 253, Treboniano fu rovesciato da Emiliano, ma il regno di questi durò poche settimane, in quanto fu deposto da Valeriano (†260/261?) ed ucciso dai suoi soldati nello stesso anno. Il nuovo imperatore, da subito, associò al trono il figlio Gallieno (†268).

Nei primi anni, l’Augusto genitore si dimostrò tollerante nei riguardi dei credenti in Dio, ma nel 257 promulgò un primo provvedimento con cui la Chiesa fu dichiarata illegale: per l’effetto, i suoi beni – mobili ed immobili – furono sequestrati e vari ecclesiastici arrestati. Inoltre, furono proibite le adunanze religiose, pena la morte per i partecipanti. Alla stessa sanzione soggiaceva chi si recava a far visita ai defunti nei cimiteri. Nel 258, un secondo editto, complementare al primo, stabilì la condanna a morte o la deportazione ai lavori forzati per tutti gli arrestati in precedenza. Vittime di tali editti furono i pontefici santo Stefano I (nel 257) e san Sisto II (nel 258). San Cipriano fu decapitato e numerosi martiri si contarono in Africa, in Palestina ed in Cappadocia.

Quando l’imperatore padre, nel 259 (o 260), fu catturato dai Sasanidi, per poi morire durante la prigionia, il figlio Gallieno ne annullò i rescritti, restituendo alla Chiesa i suoi beni e consentendo il rientro dall’esilio ai cristiani ancora in vita. Iniziò così un periodo abbastanza sereno per i fedeli in Dio. La religione era ancora illecita, ma i seguaci della stessa non furono oppressi, con la conseguenza di poter diffondere il loro credo ed accogliere nuove persone – dagli aristocratici ai contadini – nelle varie comunità. Tutti costoro ignoravano che i loro discendenti, circa quarant’anni dopo, avrebbero dovuto affrontare gli ultimi persecutori, poco dopo la riforma tetrarchica voluta nel 293 da Diocleziano (244-313) … ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta.

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