1. San Clemente Alessandrino.
Personaggio d’un certo rilievo, fra II e III secolo, fu Tito Flavio Clemente, nato forse ad Atene intorno al 150, ma conosciuto come san Clemente Alessandrino in ragione della città in cui si stabilì in seguito ed in cui, intorno al 190, divenne presbitero e docente. Forse fu rettore nella scuola di teologia – τῆς κατηχήσεως Διδασκαλεῖον (𝑡𝑒𝑠 𝑘𝑎𝑡𝑒𝑐ℎ𝑒̀𝑠𝑒𝑜𝑠 𝐷𝑖𝑑𝑎𝑠𝑘𝑎𝑙𝑒̀𝑖𝑜𝑛) – che avrebbe poi assunto grande rilievo fino alla fine del IV secolo. Tuttavia, studi recenti sembrano dimostrare che, sul finire del II secolo, ancora non esisteva quella istituzione ufficiale, inserita in ambito ecclesiastico, posta sotto il controllo del vescovo, e fondata, secondo la tradizione, da san Panteno (†200). In questo caso, Clemente insegnò in un centro privato di studi cristiani, indipendente dal presule locale, con la conseguenza che il richiamato 𝐷𝑖𝑑𝑎𝑠𝑘𝑎𝑙𝑒̀𝑖𝑜𝑛 sarebbe nato poco dopo il 200, durante l’episcopato di san Demetrio (†231) e con Origene (†251/253), discepolo proprio di Clemente, come primo giovanissimo rettore. In ogni modo, lo stesso Clemente, nel 202, per sfuggire alla persecuzione di Settimio Severo (146-211), si rifugiò presso il vescovo di Cesarea di Cappadocia (moderna Kayseri, Turchia), sant’Alessandro (†250/251), che era stato anch’egli suo allievo e che, di lì a qualche anno, avrebbe affiancato il già vecchissimo san Narciso (96/99-216?) nella guida della sede di Gerusalemme. Fra il 211 ed il 217, Clemente sarebbe morto, con ogni probabilità, proprio a Cesarea.
Dottrina e presunto gnosticismo. – Nelle sue opere, scritte in greco, Clemente sostenne che il cristiano perfetto è quello che possiede una profonda conoscenza – e quindi una γνῶσις (𝑔𝑛𝑜𝑠𝑖𝑠) – dei grandi misteri della natura, dell’uomo, della virtù: nozioni che il fedele più semplice accetta senza comprendere. Per tale ragione, alcuni esperti hanno imputato all’alessandrino l’accusa di gnosticismo, con la conseguenza che lo stesso Santo sarebbe stato un eretico. In realtà, i principi della fede di Clemente furono ortodossi. Egli accettò l’autorità delle tradizioni della Chiesa e la legge ecclesiastica. Inoltre, se vero che provò a portare nelle materie religiose alcune speculazioni filosofiche, quale il 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ della vita, altrettanto certo che usò tale attività per trasformare la fede in scienza. Per il presbitero di Alessandria, proprio attraverso la filosofia era possibile avvicinarsi alla verità, ossia al Logos, a Cristo, con quest’ultimo, per altro, esplicitamente indicato come 𝑃𝑒𝑑𝑎𝑔𝑜𝑔𝑜 nell’omonima opera di carattere morale, ma anche quale persona in cui si accordano la legge (Antico Testamento) e la grazia (Nuovo Testamento). Ne discende che Clemente non può essere incolpato di aver maturato posizioni eterodosse. Fra l’altro, lo stesso dottore fu un convinto sostenitore della duplice natura di Cristo, e pure un buon precursore nella definizione del dogma trinitario. A quest’ultimo proposito, Clemente affermò che nell’unico Dio erano presenti tre 𝑇𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑖, espressione che, da una scrupolosa lettura delle sue opere, risulta equivalente a 𝑃𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒.
2. Origene.
Come accennato, fra gli allievi di Clemente ci fu Origene, in seguito diventato uno dei principali scrittori e teologi dei primi tre secoli. Era nato, verso il 185, ad Alessandria, e qui si diede giovanissimo all’insegnamento, diventando anche rettore del 𝐷𝑖𝑑𝑎𝑠𝑘𝑎𝑙𝑒̀𝑖𝑜𝑛, prima di intraprendere una carriera di viaggi e di lavori ricchi di dottrina, che gli valsero grande fama. Fu a Roma durante il pontificato di san Zefirino (†217) ed in seguito in Siria, in Palestina e ad Atene. Proprio in Palestina, intorno al 230, Origene fu consacrato sacerdote da Teoctisto (†257?), presule di Cesarea di Palestina (oggi in Israele), assistito da Alessandro di Gerusalemme. Tale ordinazione sdegnò il vescovo di Alessandria, Demetrio, il quale riteneva che la stessa non potesse essere fatta da un presule al quale Origene non era soggetto. Inoltre, la 𝑐𝑜𝑛𝑑𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 di Origene, eviratosi personalmente anni prima, era ostativa all’ordinazione medesima. Secondo gli usi all’epoca vigenti nelle comunità cristiane, un eunuco non poteva prendere gli ordini religiosi. In conseguenza, proprio Demetrio convocò un sinodo che depose Origene e lo condannò all’esilio. Dopo la morte del vescovo, la pena fu confermata dal suo successore, sant’Eraclio (†247). Così, il dottore di Alessandria si stabilì a Cesarea di Palestina, ove fondò una scuola di pensatori e teologi, che avrebbe proseguito la sua opera e attraverso la quale il suo influsso si sarebbe avvertito per moltissimo tempo. Nella regione, dopo un viaggio, con lunga permanenza, a Cesarea di Cappadocia, fu colpito dalla persecuzione ordinata da Decio (†251). Imprigionato nel 251, morì nello stesso anno a causa delle torture, o forse riuscì a resistere alle stesse per spirare in uno dei due seguenti.
Pensiero: a) generalità. – Uno dei fondamenti della teologia di Origene è l’idea che questi ebbe dell’assoluta trascendenza di Dio. Egli non ha corpo e le caratteristiche antropomorfiche presenti nelle Scritture devono essere interpretate in senso allegorico. Tuttavia, Dio è soprattutto la Monade, che genera il Figlio e lo Spirito Santo, che sono anch’essi Dio, e che costituisce pure il principio unitario da cui ha origine tutto quel che esiste di molteplice. In conseguenza, Dio ha creato le νόες (noes), ossia le menti, che abitano il mondo comprensibile. Dotate di libero arbitrio, esse hanno lasciato Dio, bene supremo, e si sono rivolte al male, modificandosi da menti in ψυχαί (psychai), vale a dire in anime. Queste ultime si sono raffreddate, rivestendo un corpo che è luminoso od opaco secondo la minore o maggior rilevanza del peccato. Pertanto, l’uomo è un insieme di corpo ed anima, con la seconda che, a sua tendenza, può rivolgersi verso il basso, ossia verso i corpi, oppure verso l’alto, e quindi verso Dio. Del resto, l’uomo gode di libertà, di αὐτεξούσιον (autexoùsion), traducibile come autodominio: ergo, la ragione può frenare, o viceversa dare spazio, ai desideri suscitati dalle immagini o dalle rappresentazioni, che il dottore di Alessandria chiama ϕαντασίαι (phantasíai). Ne discende che le anime sono ancora capaci di orientarsi al bene.
Segue: b) la apocatastasi. – Nel pensiero di Origene, Dio è spinto a creare dalla sua bontà, ma l’opera non produce un numero illimitato di esseri. Quelli creati sono tanti quanti Dio stesso può riunire sotto la sua provvidenza, ed anche la materia è quella sufficiente allo scopo. Pertanto, il mondo presente è conseguenza di altri mondi precedenti, e ce ne saranno altri successivi come conseguenza dell’attuale. Un processo inevitabilmente lungo, destinato a durare fino alla ἀποκατάστασις (apocatástasis), che significa restaurazione finale, ossia, per l’alessandrino, «il giorno in cui tutti gli esseri intelligenti, compresi Satana e gli angeli ribelli, rientreranno nell’amicizia di Dio… e Dio sarà tutto in tutti». In sostanza, tutti saranno redenti e glorificati allo stesso modo, a prescindere che siano stati santi o peccatori, ed il fuoco infernale non è eterno, ma temporaneo e purificatore. Questa tesi sarebbe stata condannata come eretica nel quinto concilio ecumenico della storia (Costantinopoli II, 553), ma avrebbe trovato adesione nel corso del tempo in alcuni movimenti (quale l’anabattista), ma anche nei piani alti del cattolicesimo. Ad esempio, in Maria Faustina Kowalska, nata Helena Kowalska (1905-1938). Sebbene canonizzata nell’anno 2000, un decreto di venti anni dopo ne ha stabilito la memoria ad libitum, cioè facoltativa.
Segue: c) dottrina trinitaria e cristologica.Esegesi allegorica. – Nel pensiero di Origene, il Logos è eterno ed è Dio, e tale è anche lo Spirito Santo, per altro consustanziale al Padre ed al Figlio. Difatti, nella maggiore opera dello stesso teologo – i Principi – si legge testualmente: «partecipare dello Spirito Santo è la stessa cosa che partecipare del Padre e del Figlio, poiché una… è tutta la Trinità». Tuttavia, al pari di altri, l’alessandrino fu un subordinazionista. Difatti, nella sua dottrina, il Figlio è un Dio di secondo grado: soltanto il Padre è αὐτόϑεος (autótheos), ossia auto-esistente, mentre Cristo è soltanto immagine della bontà, verità, gloria, luce divine, pur costituendo, rispetto all’uomo, l’esempio e l’ideale. Questo pensiero si traduce anche nel culto: la preghiera, secondo Origene, va rivolta soltanto al Padre. Nel Figlio le due nature sono unite, poiché il Logos si è congiunto ad un uomo reale, costituito da un corpo e da un’anima, restata fedele a Dio. Contro Celso, filosofo pagano che confutava la divinità di Cristo poiché la passione o la modestia della sua persona sarebbero indegne di un Dio, l’alessandrino, nel suo scritto intitolato proprio Contra Celsum – o forse meglio Κατὰ Κέλσου (Katà Kelsou) – distingue le parole dell’uomo da quelle del Logos: il secondo èunito e mescolato al primo. Incarnato, il Verbo conduce gli esseri razionali alla contemplazione e alla conoscenza superiore, che può essere più o meno assoluta. Evidente, in questo caso, l’influenza del maestro Clemente Alessandrino, che si avverte anche quando Origene differenzia i cristiani – pur senza contrapporli – fra indotti e uomini più avanzati nella gnosi. Più in particolare, i primi sono coloro che si limitano al significato letterale delle Scritture – definito «storico» dal dottore di Alessandria – mentre i secondi sono capaci di andare oltre la lettera, scorgendo il senso superiore, l’allegoria. Origene, del resto, avrebbe sempre difeso l’esegesi allegorica e si sarebbe impegnato per convincere anche i più semplici del bisogno di ricorrervi, e per avviarli ad essa.