Premessa.
I cristiani subirono la peggiore persecuzione della storia fra il 303 ed il 312: quindi durante le tetrarchie. La tetrarchia, appunto, fu la divisione funzionale dell’Impero in quattro parti voluta nel 293 da Diocleziano (244-313): essa prevedeva due augusti ed altrettanti cesari che regnavano sulle varie diocesi orientali e occidentali.
1. Episodi precedenti alle persecuzioni. San Maurizio e san Sebastiano.
Prima delle persecuzioni tetrarchiche occorsero vari episodi cruenti nei confronti dei cristiani. Nel 286/287, furono martirizzati i santi Tranquillino, Marzia, Nicostrato, Zoe, Castulo, Tiburzio, Marco e Marcellino.
Nello stesso periodo, presso Agauunum (odierna Sankt Moritz, Svizzera), fu decimata la legione Tebana, che si era rifiutata di sterminare una popolazione del luogo convertita alla fede cristiana, giusta l’ordine imperiale. Fra i martiri ci fu san Maurizio, oggi Patrono degli Alpini e – con i suoi compagni uccisi – anche delle Guardie Svizzere.
Nel 288, per ordine diretto dell’imperatore, san Sebastiano, ufficiale dell’esercito romano, fu condannato a morte. Secondo la tradizione, fu denudato, legato ad un palo e poi trafitto da numerose frecce. Il plotone di esecuzione lo ritenne morto e lo abbandonò, in modo che gli animali selvatici si cibassero delle sue spoglie. Tuttavia, sant’Irene di Roma – oggi Patrona dei malati e dei feriti – si recò sul luogo per recuperare il corpo e dargli degna sepoltura. Accortasi che il soldato – incredibilmente – era ancora vivo, lo condusse nella sua dimora e lo curò con pia dedizione. Sebastiano guarì, ma non intese ascoltare le persone che gli suggerivano la fuga. Si recò di nuovo al cospetto di Diocleziano per proclamare la sua fede e biasimarlo per le violenze contro i cristiani. Per quanto sorpreso, lo stesso sovrano ne ribadì la pena capitale, che fu eseguita con flagellazione. Il corpo fu gettato nella Cloaca Maxima, dove fu recuperato da santa Lucina, cui Sebastiano era apparso in sogno. Costei lo trasportò fino alle catacombe sulla via Appia e ivi lo seppellì.
2. Le persecuzioni dei primi tetrarchi: a) il primo editto.
Agli inizi del IV secolo, la corrente della religione tradizionale, guidata da seguaci del neoplatonismo – fra cui l’apologeta Lattanzio (†325?) indica Ierocle Sossiano (†308/310?), governatore in Bitinia ed autore di uno scritto contro i cristiani – riuscì a portare dalla sua parte il cesare Galerio (†311). Questi odiava i fedeli in Dio, anche perché figlio di una donna superstiziosa, «deorum montium cultrix». Così, sul finire del 302 o agli inizi dell’anno successivo, partì dalla sua capitale, Sirmio (odierna Sremska Mitrovica, Serbia), per recarsi in quella della pars dioclezianea, Nicomedia (attuale İzmit, Turchia). Lo scopo era convincere l’augusto circa la necessità di eliminare i cristiani, che avevano creato una sorta di Stato nello Stato, atteso che le varie comunità obbedivano soltanto ai vescovi ed agli altri ecclesiastici. Sulle prime, Diocleziano, sebbene detestasse i fedeli in Dio, si mostrò riluttante – «furori eius repugnavit» – ma si lasciò persuadere dopo aver consultato un oracolo, che rispose indicando il cristianesimo come nemico della religione tradizionale: «ut divinae religionis inimicus». Si giunse così al primo editto, e con esso ebbe inizio la più spaventosa, e più lunga, persecuzione ordita contro i cristiani.
Tale avvio è descritto da Eusebio (†339/340), che anni dopo sarebbe diventato vescovo di Cesarea di Palestina: «Era il [marzo 303] … furono affissi editti imperiali con cui si comandava che le chiese fossero abbattute, le Scritture gettate in preda alle fiamme e si proclamava che quelli che erano investiti di cariche scadevano se persistevano nella professione di cristiani. Questo fu il primo editto contro di noi…».
3. Segue: b) il secondo ed il terzo editto.
Alcuni disordini esplosi in Oriente fornirono la scusa per un altro intervento. Fra la fine della primavera e gli inizi dell’estate di quel 303, fu promulgato un secondo editto, con cui si ordinò «di imprigionare i capi delle chiese in ogni luogo». In realtà, l’ordine finì per colpire non solo i vescovi, ma anche ecclesiastici di rango minore, con la conseguenza che le prigioni furono riempite pure «di presbiteri e di diaconi, di lettori e di esorcisti, al punto che non vi fu più spazio per i criminali condannati».
Un terzo provvedimento – la cui data è dibattuta fra gli storici – intendeva obbligare gli arrestati a «sacrificare con ogni mezzo». In difetto, era prevista la pena capitale.
4. Segue: c) il quarto editto.
Nel 304, mentre Diocleziano giaceva ammalato nel suo letto, il cesare Galerio ne approfittò per emanare un quarto decreto, che estese il dovere previsto nel terzo a tutti i fedeli ed a tutti i centri dell’Impero. In conseguenza, al dies traditionis, il giorno della consegna dei libri sacri, si sostituì il dies thurificationis, il giorno dell’offerta dell’incenso. A quanti non eseguivano l’ordine, nonostante le torture inflitte, era applicata la pena di morte. In proposito, sia Lattanzio sia Eusebio riferiscono di una città della Frigia (nell’odierna Turchia) i cui abitanti si dichiararono tutti cristiani e non intesero onorare gli dei. In conseguenza, lo stesso centro fu circondato dalle truppe romane e poi dato alle fiamme. Tutti, evidentemente, morirono arsi vivi.
5. Segue: d) differenze nell’Impero.
Sebbene governato da quattro diversi sovrani, l’Impero restava patrimonium indivisum, con la conseguenza che gli editti promulgati ad Est erano obbligatori in tutte le diocesi. Tuttavia, se Massimiano (†310) li applicò con scrupolo nei suoi territori, altrettanto non fece Costanzo Cloro (†306). Questo cesare non intendeva essere in disaccordo con i precetti dei suoi padri – «ne dissentire a maiorum praeceptis videretur» – e quindi nella parte più occidentale dell’Impero ed in Britannia, da lui governate, la persecuzione fu molto occasionale. In linea di massima, egli si limitò alla distruzione degli edifici di culto. Nella porzione di Galerio, sebbene il cristianesimo, almeno in alcuni luoghi, fosse penetrato in misura minore rispetto ad altre aree romane, vi furono comunque diverse vittime. Fra queste, san Vittorino di Petovio (moderna Ptuj, Slovenia), san Doimo ed i trentotto santi martiri di Filippopoli (attuale Plovdiv, Bulgaria), i cui nomi son rimasti ignoti.
6. Vicende successive.
Il 1° maggio 305, Diocleziano e Massimiano abdicarono, e furono sostituiti come augusti da Galerio e Costanzo Cloro. Costoro scelsero come cesari, rispettivamente, Massimino Daia (†313) e Flavio Severo (†307). La morte di Costanzo, occorsa nell’estate del 306, determinò un periodo di grave crisi istituzionale, poi durato fino al 324, nel quale emersero le figure di Massenzio (†312), di Licinio (†325) e soprattutto di Costantino (†337). Il primo di costoro, nell’ottobre di quel 306, si autoproclamò augusto d’Occidente, e per ragioni soprattutto politiche ordinò «di attenuare la persecuzione» nei confronti dei cristiani, restituendo loro anche la libertà di culto. In Hispania, Gallia e Britannia, ove cesare – riconosciuto da Galerio – era Costantino, i fedeli in Dio furono lasciati tranquilli. Completamente diversa la situazione in Oriente: nel 306, e poi per circa un lustro, l’oppressione continuò ad infuriare. L’obbligo di sacrificare agli dei, pena la morte, fu esteso persino ai lattanti, e dal 309 fu imposta la consacrazione agli dei degli alimenti messi in vendita.
Tuttavia, nel 311, qualche giorno prima di morire, forse di cancro, Galerio si rese conto di come le persecuzioni fossero state inutili, se non un vero e proprio fallimento. Si erano contate tantissime vittime, e sicuramente, per paura o per le torture subite, c’erano stati diversi lapsi o traditores, cioè persone che avevano consegnato i libri sacri: la fede cristiana, però, era tutt’altro che eradicata dall’Impero. Così, a Serdica (odierna Sofia, Bulgaria), lo stesso sovrano emanò un editto di tolleranza, anche a nome degli altri correggenti Massimino Daia, Costantino e Licinio. Il provvedimento stabilì, fra l’altro: «ut denuo sint Christiani et conventicula sua componant, ita ut ne quid contra disciplinam agant», ossia «che siano di nuovo Cristiani e riprendano le loro riunioni, purché nulla facciano contro l’ordine pubblico». Questa condizione consentì a Massimino Daia – diventato augusto d’Oriente di lì a poco – di attuare una personale repressione, che durò fino alla sua sconfitta contro Licinio nella battaglia combattuta a Tzirallum (nei pressi dell’attuale Edirne, Turchia) nell’aprile del 313.
Due mesi prima, lo stesso Licinio e Costantino, diventato imperatore d’Occidente dopo le vittorie su Massenzio, avevano emesso il celeberrimo editto di Milano, con il quale si concesse ai cristiani ed a tutti gli altri la libertà di professare liberamente la propria fede: «… sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, … dia pace e prosperità». Dopo tre secoli, il cristianesimo diventava finalmente religione lecita. Nondimeno, proprio Licinio, diventato signore d’Oriente dopo la richiamata battaglia di Tzirallum, pur essendosi inizialmente dichiarato cristiano, si rese via via inviso ai fedeli in Dio, a cagione di misure ostili e di attività persecutorie nei loro confronti. La vera e propria svolta, quindi, sarebbe occorsa soltanto nel 324, quando Costantino, dopo le vittorie contro lo stesso Licinio, divenne unico imperatore, ponendo pertanto fine alla tetrarchia. In realtà, nello stesso anno un’eresia ed uno scisma africano già agitavano la fede e le coscienze… ma questa è un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta.