Cristianesimo e teologia – Capitolo IV

1. Lotta alle eresie.

Lo gnosticismo e le altre divergenze condussero all’esigenza di stabilire un’esatta linea dottrinale in cui le comunità cristiane si riconoscessero. Nello stesso tempo, il termine eresia – che compariva negli Atti degli Apostoli – fu contrapposto a quello di ortodossia, allo scopo di indicare con il secondo la vera fede e con il primo le deviazioni da essa. Questo processo iniziò con san Giustino martire (†165?), il quale, nella sua apologetica contro il giudaismo, sviluppò la dottrina del Λόγος (Logos) – cioè di Cristo, il «Verbo» di Dio – descrivendolo come σπερματικός (spermatikòs), ossia disseminato in tutti gli uomini, ai quali consentiva di conoscere la verità.

Nota. – L’aggettivo cattolico compare per la prima volta in una lettera di sant’Ignazio di Antiochia, martire intorno al 107: «dov’è Gesù Cristo, lì c’è la Chiesa cattolica». Tuttavia, sotto il profilo storico, è corretto utilizzarlo soltanto dal IV secolo in poi, preferendo in precedenza l’attributo ortodosso, e quindi il vocabolo ortodossia.

2. Sant’Ireneo di Lione.

Il processo poc’anzi richiamato trovò un primigenio compimento con sant’Ireneo (†202), vescovo di Lugdunum (moderna Lione, Francia), teologo e Dottore della Chiesa di recentissima proclamazione.

In realtà, Ireneo, fra il 130 ed il 140, era nato a Smirne, ove era stato uditore del locale presule san Policarpo (†155/156?), che lo aveva iniziato alla dottrina degli apostoli. Ad ogni modo, per ragioni sconosciute, Ireneo abbandonò l’Asia e si recò in Gallia, a Lugdunum, ove divenne presbitero della chiesa locale. Nel 177, san Potino, primo vescovo della città, fu ucciso, con altri, nel corso di una persecuzione, ordinata da Marco Aurelio (121-180), che investì anche la vicina Vienne. I martiri – tutti comunque ricordati come santi martiri di Lione – furono in totale quarantotto. Alcuni son rimasti anonimi, ma fra loro c’era certamente santa Blandina, una schiava che, condotta verso la morte, nuda e ricoperta soltanto di una rete, ripeteva con coraggio e fermezza: «io sono cristiana e tra noi non c’è alcun male». Dopo la strage, Ireneo sostituì Potino sulla cattedra vescovile. In precedenza, era stato a Roma, ove di fronte al papa, sant’Eleuterio (†189), aveva manifestato un certo favore nei riguardi del montanismo.

Periodo di pace per i cristiani. – Dopo la morte di Marco Aurelio, i cristiani godettero un periodo di pax bona et larga, privo di persecuzioni, che sarebbe durato fino ai primi anni del regno di Settimio Severo (146-211), salito al trono nel 193. Sotto Commodo (161-192), dopo il 180, alcuni credenti in Dio ebbero addirittura incarichi ufficiali presso la corte imperiale.

La questione quartodecimana. Morte di Ireneo. – Tuttavia, a turbare la concordia generale, oltre le eresie, stava la questione quartodecimana riguardante il giorno di celebrazione della Pasqua, in cui anche Ireneo finì per essere coinvolto. I presuli e i fedeli della provincia d’Asia (odierna Turchia occidentale), e comunque molti cristiani originari della stessa provincia e trasferitisi in altre aree dell’Impero, Roma inclusa, rievocavano la Resurrezione nel quattordicesimo giorno del mese di nīsān, il settimo del calendario ebraico (compreso nel periodo fra il marzo e l’aprile), a prescindere che tale giorno fosse domenica o meno. Il problema, che si trascinava da un po’ di tempo, era ancora in piedi quando, nel 189, fu eletto al soglio san Vittore I (†199). Questi desiderava ci fosse uniformità, nel mondo cristiano, nella celebrazione della sua ricorrenza più importante, e quindi scrisse a Policrate di Efeso (†196?), sollecitando la convocazione di un sinodo di episcopi asiatici in cui discutere della questione. La riunione si tenne, ma non ebbe l’esito sperato dal successore di Pietro: lo stesso Policrate gli confermò la tradizione quartodecimana, «osservata da così tanti santi e celebri vescovi della regione». Vittore si rivolse allora a vari metropoliti, invitandoli a riunire i presuli loro dipendenti al fine di consigliarsi con loro sul problema pendente. Le repliche giunsero da diverse sedi del mondo cristiano: dalla Palestina, dal Ponto, dal regno di Osroene (provincia di frontiera, con capitale Edessa, fra la Siria, romana, e l’Impero dei Parti) e dalle comunità della Gallia, il cui vescovo reggente era Ireneo. Tutte tali risposte furono unanimi nel sostenere che la Pasqua andava celebrata di domenica. Anche un sinodo tenutosi a Roma, forse nel 196, presieduto proprio dal pontefice, giunse alla stessa conclusione. Pertanto, Vittore si rivolse di nuovo ai presuli dell’Asia affinché abbandonassero l’usanza quartodecimana, adeguandosi a quella degli altri distretti. In difetto, non sarebbero più stati in comunione con la chiesa di Roma. Secondo Socrate Scolastico (†450?), Policrate fu addirittura scomunicato. L’atteggiamento del pontefice non piacque a Ireneo, che ne disapprovò il rigore e lo esortò a conservare pace con i vescovi della provincia d’Asia. Le vicende successive non sono note, ma l’intervento del metropolita di Lugdunum dovette avere un certo successo, se è vero, come è vero, che soltanto un tal Blasto, un orientale, si rese protagonista di un modestissimo scisma nella capitale dell’impero, riunendo intorno a sé pochi seguaci e mantenendo con loro la tradizione quartodecimana. In buona sostanza, Ireneo «riuscì a ricondurre la pace nella Chiesa». Su di lui non ci sono altre attendibili informazioni biografiche. Lo stesso anno di morte, forse per martirio, è incerto, sebbene le fonti lo indichino nel 202, o più raramente nel 203.

Pensiero ed opera. – Lo scritto principale di Ireneo, redatto intorno al 180, è l’Adversus Haereses (Contro le eresie). Il titolo originale, però, è Ἔλεγχος και ανατροπή της ψευδωνύμου γνώσεως (Èlenchos kai anatropè tes pseydonymou gnòseos), che significa Smascheramento e confutazione della falsa gnosi. Proprio questi sono gli scopi perseguiti nell’opera, che nel primo libro elenca vari sistemi ereticali, ma soprattutto rivela le falsità di Valentino e due suoi discepoli, Tolomeo e Marco, che predicavano in Gallia. Gli altri quattro libri sono dedicati appunto alla smentita dell’eresia, e costituiscono una parte rilevante nella storia della fede. In essi, infatti, si rinviene la prima e chiara formulazione della teologia cristiana.

Alla tesi secondo cui il mondo non sarebbe creato da Dio, il Dottore replica dimostrando che, per tale via, si distrugge il concetto di Dio stesso: entità infinita e perfetta, che quindi, da un lato racchiude in sé l’universalità degli esseri, e dall’altro non è coincidente con i difetti della materia. In conseguenza, soltanto l’ipotesi creazionista risolve ogni problema. D’altronde, la tesi di un unico Creatore, sebbene misteriosa e complessa, è la sola che permette all’uomo di conoscere la verità tramite le due fonti di cui dispone: la Bibbia e la tradizione. E nelle stesse Scritture – sottolinea il vescovo di Lione – l’Antico ed il Nuovo Testamento sono concordanti, atteso che gli eventi raccontati nel secondo sono manifestati nel primo. Questa tesi sarà ripresa da numerosi teologi medievali: ad esempio, il pontefice Gregorio I – meglio noto come san Gregorio Magno (†604) – avrebbe scritto «il Nuovo Testamento ha fatto vedere ciò che l’Antico Testamento annunziava».

Alla dottrina che presenta Gesù come un Eone, Ireneo risponde che Cristo è il Logos increato ed eterno, fattosi uomo e nato dalla Vergine – parola che il teologo usa testualmente – per diventare mediatore fra Dio e gli uomini, ed a questi far conoscere lo stesso Dio. Pertanto, il Figlio ha duplice natura, divina ed umana, e con il suo sacrificio sulla Croce ha restituito all’umanità quel che la disobbedienza di Adamo le aveva fatto perdere.

All’ipotesi che concede possibilità di salvezza soltanto a chi possiede la conoscenza superiore, e che comunque divide gli esseri umani in tre categorie, il vescovo di Lione ribatte sostenendo che tutti gli uomini possiedono un’anima, la quale parteciperà alla risurrezione quando, annientato il malvagio dominio dell’anticristo sulla Terra, Cristo tornerà trionfante. In quel momento, i giusti saranno riuniti in un regno millenario, del quale Cristo stesso sarà sovrano.

Questo lavoro, oltre il valore storico-teologico, contribuì a far affiorare l’opinione di una sola Chiesa, che in seguito sarebbe stata definita Grande Chiesa. Quella «grandissima e antichissima ed a tutti nota, fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo», così descritta per differenziarla da altre correnti, che, ancorché di ispirazione cristiana, avrebbero elaborato dottrine eterodosse, ossia contrarie, in tutto o in parte, a quelle accettate dalla maggioranza.

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