-955 – La battaglia di Lechfeld

Il 10 Agosto del 955, giorno di san Lorenzo martire (225-258), si combatteva la battaglia di Lechfeld, tra i Tedeschi e i Magiari.
I. I MAGIARI
I Magiari — o Ungari — erano un popolo di ceppo ugrofinnico, apparso quasi all’improvviso dalle steppe dell’Asia Centrale e, come tutti i popoli delle steppe, dopo un primo periodo passato alla foce del Nistro, si era stabilito in Pannonia, la terra già occupata prima dagli Unni, poi dagli Avari. Dopo una prima incursione ai danni del Regno dei Franchi Orientali nell’862, nell’899-900 gli Ungari erano penetrati in Italia attraverso il Friuli: un corposo esercito guidato dal re d’Italia Berengario I del Friuli (850-924) li aveva affrontati, ma era stato annientato in una battaglia sul fiume Brenta. Essi erano così penetrati in Val Padana compiendo saccheggi e orribili stragi. Il vescovo Liutvardo di Vercelli (†900/901) era rimasto ucciso proprio per mano degli Ungari.
Da allora, erano divenuti la terza piaga della Cristianità, dopo i Aaraceni a Sud e i Norreni a Nord.
Tra il 901 e il 915 avevano invaso e saccheggiato il Friuli, la Lombardia, la Baviera, la Sassonia, la Franconia, la Svevia, la Borgogna, avevano dato alle fiamme Ratisbona (910) e Brema (915). Nel 918 erano arrivati fino in Lotaringia e nel 919 erano alle porte di Reims. In quello stesso anno, per la prima volta, re Berengario — frattanto divenuto imperatore — li aveva assoldati come mercenari contro altri pretendenti alla corona italica. Nel 922 si erano spinti a Sud fino in Puglia. Nel 924 Berengario aveva inviato i suoi mercenari ungari contro Pavia, catturata dai suoi nemici, per effetto dell’assedio la capitale italica era stata incendiata. Questa era stata poi la causa dell’assassinio di Berengario da parte di uno dei suoi uomini.
In quello stesso anno, un’orda magiara era penetrata in Provenza e aveva devastato tutta l’Occitania, spingendosi anche oltre i Pirenei. Nel 926, al culmine delle loro consuete scorrerie in Baviera, Franconia, Lotaringia e Svevia, avevano saccheggiato l’Abbazia di San Gallo. Nel 927, nell’ambito del loro giro di scorrerie in Italia, erano penetrati in Toscana e nel Lazio.
II. IL CONTESTO IN GERMANIA E IN ITALIA
Il primo re dei Franchi Orientali della stirpe dei Liudolfingi, Enrico I l’Uccellatore (876-936), era riuscito una volta a sconfiggere i Magiari in battaglia, nel 933, a Riade, presso il fiume Unstrut, riunendo un vasto esercito. Da allora, le orde ungare avevano rivolto la loro attenzione ai Balcani, così re Enrico aveva fatto erigere varie fortificazioni per opporsi alle loro incursioni e, da ognuno di questi castelli, sarebbe in seguito sorta una città. Le scorrerie tuttavia erano riprese e i Magiari avevano dimostrato di poter attraversare il regno germanico pressoché indisturbati.
Nel 935-938, ripetute scorrerie avevano colpito la Baviera, la Sassonia, la Lotaringia, consentendo la penetrazione fino in Borgogna e in Aquitania, ma erano tornati anche in Toscana, scendendo poi oltre Roma, fino ai ducati longobardi del Sud.
Nel 937, a Enrico l’Uccellatore era succeduto il figlio Ottone I di Sassonia (912-973), che nei primi anni del suo regno aveva potuto beneficiare delle fortificazioni ereditate dal padre, ma non aveva avuto la forza di fermare i Magiari, anche perché lungamente impegnato a contrastare ribellioni interne.
Nel 943, essi erano penetrati in Italia, ma re Ugo di Arles (880-947) aveva stretto con loro un accordo per farli passare oltre e quelli si erano diretti nuovamente in Spagna.
Deciso ad affrontarli, Ottone era addirittura penetrato nelle loro terre, nel 950, ma non aveva ancora la forza necessaria a uno scontro decisivo.
In quegli anni, anzi, aveva volto la propria attenzione all’Italia: dopo aver accolto il marchese Berengario d’Ivrea (900-966), che era stato minacciato dal proprio re Ugo, aveva in qualche modo favorito lo stesso Berengario, che era rientrato in Italia e aveva deposto re Ugo per porne sul trono il figlio Lotario II (925-950). In seguito, lo stesso Lotario era morto improvvisamente, forse avvelenato, e li stesso Berengario si era impossessato della corona, enumerato come Berengario II. Aveva allora cercato di forzare la vedova di Lotario II, Adelaide di Borgogna (931-999), a sposare il proprio figlio Adalberto (930-972/975?), associato al trono come re, ma ella aveva rifiutato ed era stata per ciò imprigionata. Era tuttavia riuscita a fuggire e, raggiunto Ottone, lo aveva sposato. Così, in capo a un anno, il sovrano tedesco aveva invaso in armi il Regno d’Italia e aveva costretto Berengario II, per conservare la corona, a prestargli atto di vassallaggio.
Tuttavia, la presenza di una nuova moglie aveva indispettito il primogenito di Ottone, il duca Liudolfo di Svevia (930-957), figlio della prima moglie Edith d’Inghilterra (910-946): il giovane si era ribellato insieme al cognato Corrado il Rosso (920-955), duca di Lotaringia, che aveva sposato sua sorella Liutgarda (932-953) ed era pertanto genero di Ottone. La rivolta dei principi aveva costretto Ottone a revocare loro i ducati e a scendere in battaglia contro di essi, per spezzarne l’unità.
III. LA SPEDIZIONE MAGIARA DEL 955
Ottone era da poco riuscito a domare l’ultima ribellione quando, nel 955, i Magiari erano penetrati nuovamente in Germania, attraverso la Carinzia e la Baviera, ed erano giunti fin sotto le mura di Augusta. Per la prima volta, si erano dotati di macchine d’assedio, il che — se non fossero stati fermati — avrebbe riportato la Germania alla loro mercé. La presenza di strumenti d’assedio era segno che quella non era una semplice incursione con scopo di razzia.
La città resisteva sotto la guida del vescovo, sant’Ulderico di Augusta (893-973), ma non poteva sperare in un intervento del duca Enrico di Baviera (919/921-955), fratello di re Ottone, che giaceva moribondo nel proprio letto, nella lontana Abbazia di Pöhlde, in Sassonia, e che comunque con le sole proprie forze non avrebbe potuto fare molto.
IV. LE FORZE IN CAMPO
L’immensa orda dei Magiari era composta, secondo il racconto di Vitichindo di Corvey (925/935-973), di circa 50.000 cavalleggeri, ma secondo stime odierne non più di 15.000: erano guidati da Harka Bulcsu (†955) e dai suoi colonnelli Lehel (†955) e Sur (†955).
Augusta non doveva cadere e re Ottone marciò in suo soccorso con circa 10.000 unità di cavalleria pesante.
Per poter affrontare una simile battaglia, Ottone aveva prima dovuto riunire tutte le forze del proprio regno, cioè Sassoni, Franchi, Bavari e Svevi. Aveva così pacificato e sottomettesso i duchi ribelli, tra cui il figlio Liudolfo e il genero Corrado il Rosso, e aveva ottenuto altresì l’alleanza dei Boemi del duca Boleslao I il Crudele (†967/972). Secondo Vitichindo di Corvey, l’esercito germanico era stato reclutato su base etnica e diviso in otto “legioni”: una franca, due sveve, tre bavare, una boema, tutte composte ciascuna da mille uomini, e la “legione regia”, formata di tremila sassoni.
L’ordine di marcia prevedeva in avanguardia il contingente bavarese, poi i franchi di Corrado il Rosso, quindi i 3.000 sassoni di Ottone, a seguire gli svevi del duca Burcardo III (915-973) e, in retroguardia, il contingente boemo condotto dal duca Boleslao, con le salmerie.
V. LA BATTAGLIA
Appreso dell’imminente arrivo dei tedeschi, i magiari si erano schierati per andare loro incontro: i due eserciti si incontrarono lungo il corso del fiume Lech, poco lontano da Augusta. Mentre una parte di essi fronteggiava i bavaresi con la tipica tattica della schermaglia — scagliando frecce e ritirandosi, per farsi inseguire scompaginando il fronte nemico — un contingente magiaro guadò il fiume e aggirò la colonna di Ottone, piombando alle spalle del contingente boemo. Mentre i cavalieri bavaresi in prima linea restarono compatti, i boemi in retroguardia cedettero e i cavalieri magiari incalzarono gli svevi del duca Burcardo, sicché Ottone inviò in loro supporto anche i franchi di Corrado il Rosso. Forse indugiando sulle salmerie, i magiari furono investiti dalla carica delle forze di Franconia e allora, con l’accerchiamento nemico contrastato e respinto, lo stesso Ottone si lanciò infine sul fronte principale a schiacciare le ultime schiere ungare.
VI. LE CONSEGUENZE
Nella battaglia di Lechfeld persero la vita circa 30.000 guerrieri magiari, secondo le fonti coeve, anche se i numeri potrebbero essere stati ingigantiti per maggior gloria dei vincitori. Invece, l’esercito di Ottone contò solo 3.500 caduti, tra i quali però anche Corrado il Rosso, il genero di Ottone. Forse fu colpito da una freccia, essendosi tolto il camaglio a causa del gran caldo, ma forse era ancora vivo quando uno dei colonnelli magiari, chiedendo di essere portato al tuo cospetto dopo la cattura per rendergli omaggio, l’avrebbe invece ucciso con un colpo mortale.
In ogni caso, poiché i capitani magiari non appartenevano alla famiglia reale, re Ottone non ebbe indugi nel farli impiccare nella piazza di Augusta, mentre tutti gli altri prigionieri furono rimandati in Pannonia solo dopo che gli fu mozzato il naso a memoria della grande disfatta subita in Germania.
Dopo tale umiliazione, il loro principe Taksony (931-972) avrebbe cessato le incursioni ungare sull’Europa, da essi flagellata per oltre cinquant’anni, e in breve anche l’Ungheria sarebbe entrata nella Cristianità.
VII. ULTERIORI SVILUPPI
Dopo questa notevole vittoria, Ottone sarebbe stato chiamato il Grande. Pochi anni più tardi, nel 961, avrebbe pianificato la propria calata in Italia per chiudere i conti con Berengario II. Nel 962 avrebbe cinto la corona d’Italia, a Pavia, e quella imperiale a Roma, ottenuta da papa Giovanni XII, al secolo Ottaviano di Alberico (937-964), imponendogli poi il “Privilegium Othonis“, vale a dire il diritto dell’imperatore di vigilare sulla corretta elezione del pontefice. Pentitosi di aver concesso tanto potere al sovrano tedesco, il pontefice avrebbe cercato di congiurare con Adalberto, figlio di Berengario II, ma sarebbe stato scoperto e deposto dallo stesso Ottone, che lo avrebbe sostituito con Leone VIII (910/920-965), il primo papa scelto in forza del Privilegium Othonis. Fuggito in Corsica, Giovanni XII sarebbe rientrato a Roma con Ottone impegnato a ottenere la resa di Berengario a San Leo: il redivivo papa sarebbe riuscito a scacciare Leone VIII, ma sarebbe morto poco dopo. Le famiglie romane avrebbero allora eletto un Benedetto V (†966), ma Ottone, raggiunta Roma, avrebbe ripristinato Leone VIII e sarebbe tornato in Germania portando seco, prigionieri, sia re Berengario sia papa Benedetto, che avrebbero finito i loro giorni in prigionia. Le famiglie romane sarebbero rimaste impressionate al punto che, morto poi Leone VIII nel 965, avrebbero atteso il consenso di Ottone per eleggere Giovanni XIII (†972).
La vittoria di Lechfeld, quindi, fu il grande successo che aprì a Ottone le porte per impossessarsi dell’Italia, della corona imperiale e, di fatto, del Papato. Al culmine della gloria, egli avrebbe combinato il matrimonio tra il proprio figlio Ottone II (955-984) e la principessa greca Teofano (958-991), con lo scopo di ristabilire l’unità della Penisola Italiana, acquisendone il Mezzogiorno, e ripristinare un’autorità imperiale forte. E in gran parte vi sarebbe riuscito.
VIII. LE FONTI PRIMARIE
La principale fonte coeva è costituita dalle “Res Gestae Saxonicae” del menzionato monaco benedettino Vitichindo di Corvey, che forniscono un resoconto dettagliato sia dello scontro sia del reclutamento dell’esercito di Ottone, ma questa battaglia è menzionata altresì negli “Annales” del canonico Flodoardo di Reims (894-966), nella “Vita Sancti Uoldarici” del vescovo Gherardo di Augusta (†1000) e nel “Chronicon” del vescovo Tietmaro di Merseburgo (975-1018). Per quanto attiene alle incursioni ungare in Italia e in particolare alla battaglia del Brenta, la più importante delle fonti primarie è la “Antapodosis” del vescovo Liutprando di Cremona (920-971/972).
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