Il 4 Luglio del 1187, il re di Gerusalemme Guido di Lusignano (1150-1194) affrontava in battaglia il sultano ayyubide An-Nasir Salah ad-Din Yusuf ibn Ayyub, meglio noto tra i cristiani come Saladino (1137-1193), nei pressi di una località nota come i Corni di Hattin, in arabo Ḥiṭṭīn.
I. IL CONTESTO: SALADINO E GERUSALEMME
Saladino era un uomo nuovo per il mondo musulmano: di origine curda, era cresciuto alla corte del sultano di Siria Nūr al-Dīn Abū al-Qāsim Mahmūd Ibn ʿImād al-Dīn Zangī, al-Malik al-ʿĀdil, detto dai cristiani Norandino (1118-1174), che lo aveva inviato in Egitto sin dal 1164. Divenuto lo stesso Saladino sultano d’Egitto nel 1171, sostituendo la dinastia sciita dei Fatimidi, aveva completato questo primo decennio glorioso divenendo altresì sultano di Siria alla morte di Norandino, nel 1174. Egli era riuscito a unire sotto un unico sultanato i domini di Siria, Egitto, Hijaz e Yemen: rappresentava il potere temporale sunnita e costituiva un nemico di grande valore simbolico per i Nizariti, una setta nata meno di cent’anni prima in seno alla corrente ismailita dello sciismo, per iniziativa di Ḥasan-i Ṣabbāḥ (1050-1124), che da una decina d’anni aveva assunto posizioni teologiche di spiccata trascendenza, ritenute eretiche da gran parte del mondo musulmano. Saladino era scampato a due attentati alla sua persona compiuti nel 1175 e nel 1176 proprio dagli “Assassini“: la parola “assassino” deriva dal nome della setta degli “Hashīshīn“, in quanto essi erano consumatori di “hashish“, l’oppio ricavato dalle foglie di canapa.
Nel 1177, quando pensava di essere al massimo della propria potenza, aveva il sultano ayyubide subito una pesante sconfitta a Montgisard, per mano del giovane re di Gerusalemme Baldovino IV il Lebbroso (1161-1185), della Casa d’Angiò-Gatinâis, che col fondamentale supporto di Rinaldo di Châtillon (1125-1187) aveva sbaragliato un esercito dieci volte più numeroso del proprio. Per conseguenza, nel 1180 il regno crociato aveva raggiunto con Saladino un’importante tregua. Da allora, tuttavia, gli accordi erano stati più volte violati, da ambo le parti, con continue, reciproche e inarrestabili incursioni. La malattia di Baldovino IV e in seguito il debole regno del suo successore, il nipotino Baldovino V (1177-1186), della Casa di Monferrato, avevano reso impossibile opporsi a questo crescendo di violenza.
Saladino aveva allora iniziato una lunga campagna che puntava all’acquisizione di piccoli avamposti collocati tutti intorno a Gerusalemme. L’ultimo obiettivo era Tiberiade, cittadina fortificata sulle sponde dell’omonimo lago, che aveva posto sotto assedio.
Proprio per soccorrere Tiberiade, re Guido — che era asceso al trono grazie al matrimonio con Sibilla (1160-1190), madre del defunto Baldovino V — aveva deciso di scendere in guerra e di farlo con tutte le forze del proprio regno, che aveva portato in Galilea.
L’unico che si era opposto con forza ad abbandonare la posizione avanzata di Sephorie, adducendo motivazioni di natura strategica, era stato il conte Raimondo III di Tripoli (1140-1187), benché sua moglie Eschiva (†1187?) fosse assediata proprio a Tiberiade. Solo quando era stato accusato di codardia aveva accettato la decisione del consiglio di guerra.
II. LE FORZE IN CAMPO
Re Guido conduceva un esercito di meno di 20.000 uomini, di cui non oltre 18.000 fanti, 1.200 cavalieri e 200 templari. Saladino era invece a capo di una forza di circa 25.000 o forse 30.000 uomini, benché il “Libellus de expugnatione Terrae Sanctae per Saladinum” riferisca di 45.000 armati, di cui 12.000 cavalieri tratti dall’élite del mondo musulmano.
Le tecniche di combattimento e la professionalità degli eserciti cristiani, fino ad allora, facevano sì che una leggera inferiorità numerica non costituisse un problema. A Montgisard, per esempio, il rapporto di forza era stato favorevole a Saladino per dieci a uno, eppure il suo esercito era stato annientato.
III. LA MARCIA
Per tutta la giornata del 3 Luglio, l’esercito di Gerusalemme aveva marciato sotto il sole cocente senza potersi rifornire d’acqua. Raimondo di Tripoli — che aveva messo in guardia il consiglio di guerra di questo problema — guidava l’avanguardia, mentre re Guido conduceva il grosso dell’esercito e Baliano di Ibelin (1140-1193) la retroguardia, insieme a Rinaldo di Châtillon e a Joscelin III di Edessa (1135-1190).
Nel corso di tutta la giornata, i cristiani avevano subito le continue schermaglie dei musulmani. A sera si era accampati, stremati dalla sete, senza trovare acqua per rifornirsi.
IV. LA BATTAGLIA
Muovendo incontro a Saladino, re Guido aveva così condotto in trappola il proprio esercito, per imperizia e negligenza, portandolo a marciare senz’acqua nel deserto e consentendo al nemico di scegliere il campo di battaglia.
Nella mattina del 4 Luglio, l’esercito cristiano era stato circondato presso i Corni di Hattin. Saladino aveva fatto dare alle fiamme le sterpaglie tutto intorno, rendendo l’aria secca e accentuando l’arsura e la sete dei cristiani.
Raimondo di Tripoli aveva cercato di forzare l’accerchiamento con una carica di cavalleria e vi era riuscito, ma si era poi trovato isolato e aveva infine deciso di lasciare il campo di battaglia muovendo verso Nord-Est e poi convergendo verso la costa.
Sfiniti dalla sete, i cristiani furono attaccati su tutti i fronti e la battaglia volse rapidamente in un disastro. Parte della fanteria abbandonò le linee correndo verso Hattin alla disperata ricerca di acqua, ma fu un massacro. Baliano di Ibelin riuscì a forzare l’aggiamento con parte della retroguardia, rompendo le linee nemiche sul fronte occidentale, ma — come Raimondo — si ritrovò fuori dal combattimento.
Re Guido cercò di formare un ultimo baluardo intorno al proprio padiglione, ma fu tutto inutile: lui stesso fu catturato, così come la reliquia della “Vera Croce“, da sempre portata in battaglia dai re di Gerusalemme, ma di cui — a partire da questo giorno — non si sarebbe saputo più nulla.
V. LA FINE
Non più di 3.000 uomini scamparono alla distruzione dell’esercito cristiano: una parte fu condotta da Raimondo di Tripoli verso Tiro, un’altra parte mosse rapidamente verso Gerusalemme, sotto la guida di Baliano di Ibelin e Joscelin di Edessa.
Tra i prigionieri, oltre a re Guido, Saladino riuscì a catturare anche suo fratello Amalrico (1144-1205), Umfredo IV di Toron (1166-1192) e il marchese di Monferrato Guglielmo V il Vecchio (1100-1191), — il nonno quasi novantenne del defunto re Baldovino V — ma soprattutto Rinaldo di Châtillon, che per Saladino era stato un’ossessione: era stato il condottiero che aveva guidato alla vittoria le forze di Baldovino IV nella battaglia di Montgisard, era sempre stato tra i principali artefici delle scorrerie in territorio musulmano, giungendo addirittura fino ad Aqaba, sul Mar Rosso, e facendo temere che potesse mirare alla Mecca, e nel corso di una di queste incursioni aveva catturato la sorella dello stesso Saladino. Per lui, il sultano ayyubide non mostrò alcuna pietà e lo decapitò personalmente sul posto.
Furono altresì uccisi tutti i cavalieri degli ordini monastico-militari: i templari, gli ospitalieri, i cavalieri teutonici, che, al contrario degli altri prigionieri, non avrebbero potuto giurare di non prender più le armi contro Saladino.
Crudele sarebbe stato altresì il destino riservato ai fanti catturati vivi e ai cavalieri di più umile estrazione: a migliaia, essi sarebbero stati venduti come schiavi. Solo i nobili avrebbero potuto negoziare un riscatto per la loro liberazione.
VI. CONSEGUENZE
Questa disfatta privò il Regno di Gerusalemme della quasi totalità del suo esercito e sarebbe stata pertanto il preludio della conquista della medesima Gerusalemme: l’impresa sarebbe riuscita in capo a tre mesi, il 2 Ottobre del 1187, allo stesso Saladino, che dopo un duro assedio avrebbe costretto Baliano di Ibelin alla capitolazione. Egli avrebbe così riportato la Città Santa sotto il controllo musulmano, dopo ottantotto anni di dominio cristiano.
Ottenuta Gerusalemme, lo stesso Saladino avrebbe ottenuto, con una marcia trionfale, la capitolazione di tutte le altre città del regno crociato, eccetto una, Tiro, dove il sopraggiunto Corrado di Monferrato (1146-1192), figlio di Guglielmo V il Vecchio, avrebbe imposto alla città di resistere.
Ottenuta la libertà, i nobili catturati a Hattin avrebbero cercato di raggiungere proprio Tiro, ma Corrado di Monferrato non avrebbe aperto le porte della città a re Guido, principale responsabile della disfatta di Hattin. Privo di un regno, privo persino di una città, lo stesso Guido avrebbe condotto le poche forze a lui ancora fedeli ad assediare Acri. Qui, a soli trent’anni, sarebbe morta sua moglie Sibilla, regina titolare. La coppia non aveva avuto discendenza e si sarebbe acuita la frattura tra chi riteneva Guido ancora re e chi invece riteneva regina la sorella diciottenne di Sibilla, Isabella (1172-1205). Baliano di Ibelin sarebbe riuscito a far annullare le nozze di Isabella con Umfredo IV di Toron e a farle sposare Corrado di Monferrato, stabilendo a Tiro una corte reale distinta dalla corte impegnata nell’assedio di Acri.
VII. LA TERZA CROCIATA
Frattanto, sconvolto da questo evento, ottantotto anni dopo la conquista del 1099, il Papato avrebbe proclamato la Terza Crociata (1189-1192). L’organizzazione non sarebbe stata semplice: l’imperatore Federico Barbarossa (1122-1190) avrebbe dovuto sistemare le proprie pendenze sia in Germania, con l’opposizione interna, sia in Italia, con il matrimonio dinastico che avrebbe dovuto unire la Sicilia all’impero, mentre in Inghilterra, era in corso un conflitto tra re Enrico II Plantageneto (1133-1189) e il suo stesso figlio ed erede, Riccardo Cuordileone (1157-1199).
Sistemate le proprie questioni, il Barbarossa sarebbe per primo partito alla volta della Terra Santa, ma avrebbe compiuto l’errore di ripercorrere la via anatolica attraverso la quale aveva già visto patire molte perdite tra i crociati tedeschi della Seconda Crociata (1146-1150), cui aveva partecipato. Pur avendo superato le avversità peggiori, sarebbe improvvisamente morto guadando il torrente Saleph, in Cilicia. A metà del 1190, sotto il comando del duca Federico di Svevia (1167-1191), figlio del Barbarossa, i crociati tedeschi sarebbero giunti presso Acri e si sarebbero uniti alle forze di Guido di Lusignano. Tra gli assedianti sarebbe tuttavia scoppiata un’epidemia e lo stesso Federico di Svevia ne sarebbe morto, nel Gennaio del 1191, lasciando il comando del contingente tedesco a Leopoldo V il Virtuoso (1157-1194), duca d’Austria e di Stiria della Casa di Babenberg. In seguito, sarebbero sopraggiunti anche i crociati francesi del re di Francia Filippo II Augusto (1165-1223), ma la situazione si sarebbe sbloccata solo nel Giugno del 1191, con l’arrivo dei crociati anglosassoni del re d’Inghilterra Riccardo I Cuordileone, frattanto succeduto al padre, decisivo per la capitolazione di Acri. Tuttavia, sarebbe subito scoppiato un aspro dissidio tra Riccardo Cuordileone e il duca Leopoldo d’Austria, le cui insegne il re inglese non avrebbe accettato di issare sulla città conquistata, non avendo egli il rango di re. Inoltre, — a seguito dell’eccessiva lentezza nelle trattative per il riscatto dei 5.000 prigionieri della guarnigione di Acri, arresisi in cambio della promessa di aver salva la vita e su cui i crociati avrebbero contato per intascare un buon riscatto — Riccardo ne avrebbe ordinato il massacro. Un fatto gravissimo, che avrebbe acceso acerrime liti tra i tre condottieri e, a seguito di esse, avrebbe portato al ritiro dalla stessa crociata dei contingenti francese e tedesco, sicché il Cuordileone, rimasto solo, non sarebbe poi riuscito — non ostante la vittoria di Arsuf — ad assediare Gerusalemme.
Va detto comunque che, a dispetto di questo massacro, re Riccardo non avrebbe perso la grande stima che nei suoi confronti nutriva Saladino.
Il protrarsi delle operazioni in Terra Santa, in ogni caso, unitamente alle notizie giunte dall’Inghilterra, ove il fratello Giovanni Senzaterra (1166-1216) avrebbe spadroneggiato sul regno in sua assenza, e dalla Normandia, ove Filippo Augusto avrebbe saccheggiato i suoi possedimenti, avrebbero indotto Riccardo a stipulare una pace con Saladino e a rientrare frettolosamente in Europa.
Ironia della sorte, se il sovrano inglese si fosse trattenuto ancora in Terra Santa, avrebbe forse potuto evitare di essere catturato e imprigionato dal duca d’Austria sulla via del ritorno, ma soprattutto avrebbe potuto approfittare della morte di Saladino, occorsa pochi mesi dopo la sua partenza.
VII. LE FONTI PRIMARIE
Le principali fonti primarie su queste vicende sono, per parte musulmana gli “Aneddoti sultanici e virtù di Yūsuf” (in arabo “al-Nawādir al-Sultaniyya wa’l-Maḥāsin al-Yūsufiyya“) del cronista curdo Bahāʾ al-Dīn Abū al-Maḥāsin Yūsuf ibn Rāfiʿ ibn Tamīm, noto tra I musulmani come ibn Šaddād, ma tra i cristiani come Boadino (1145-1234), mentre, per parte cristiana, la “Historia rerum in partibus transmarinis gestarum” dell’arcivescovo Guglielmo di Tiro (1130-1186) per gli antefatti, ma poi dal suo continuatore, forse Goffredo di Vinsauf (†1200?), nel suo “Itinerarium Regis Ricardi“, e altresì dalle “Gesta Regis Henrici Secundi et Gesta Regis Ricardi” di Ruggero di Hoveden (1174-1201), la “Historia de expeditione Federici” di un certo Ansberto, e l’anonimo “Libellus de expugnatione Terrae Sanctae per Saladinum“.
Un diverso punto di vista è fornito dalla “Narrazione cronologica” (in greco Χρονική Διήγησις), di Niceta Coniate (1155-1217), ma si segnalano anche opere successive come la “Historia Hierosolimitana” di Jacques de Vitry (1160/1170-1240) e i “Flores Historiarum” di Ruggero di Wendover (†1236).
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