Jan Sobieski, re di Polonia (Olesko, 17 agosto 1629 – Varsavia, 17 giugno 1696)
Sarmatismo è un termine arcano, e sconosciuto ai più. Esso identifica l’ideologia e la cultura prevalente nella nobiltà polacca durante il suo periodo aureo, a larghe spanne tra la prima metà del ‘500 e il ‘700 avanzato, quando anche in Polonia si fece strada l’età dei lumi. Il concetto nacque alla fine del ‘400 in seguito all’opera di Jan Długosz, “Annales seu cronici incliti regni Poloniae” ove egli teorizzò una discendenza dei nobili polacchi dai Sarmati, una leggendaria popolazione proveniente dall’altopiano iranico, con tratti comuni con Turchi e Tartari, che avrebbe invaso le terre slave nei primi secoli dell’era cristiana. Da allora il concetto fu sviluppato e adottato come ideologia identitaria della nobiltà, che vide se stessa come non slava, ma destinata a dominare gli slavi. L’ideologia e la cultura si svilupparono grandemente e portarono a una straordinaria fioritura politica e culturale, che pervase la Polonia e in larga parte anche la cugina Lituania, negli anni più gloriosi e fulgidi della propria storia. Il Sarmatismo si estrinsecò in modi di vivere, modi di vestirsi, modi di parlare, modi di combattere, modi di governare lo stato che resero il Commonwealth Polacco-Lituano unico in Europa. Tanto per fare degli esempi i nobili polacchi si abbigliavano in uno stile quasi orientale, con lunghe palandrane abbottonate davanti lunghe sin sotto le ginocchia e comodi stivali, senza far uso delle calze tipiche dell’occidente. Essi parlavano in modo maccheronico, unendo parole polacche a parole della lingua latina, di cui avevano generalmente una conoscenza estesa. Essi combattevano a cavallo in un modo che destò l’ammirazione e il timore di Oriente e Occidente, creando quella meravigliosa cavalleria che furono gli ussari alati. Il Sarmatismo fu esteso a tutta la nobiltà, grande, media, piccola e piccolissima, ma comunque estremamente numerosa. E non dimentichiamo che stiamo parlando dello stato che nel ‘600 era il primo d’Europa per estensione e probabilmente il secondo, dopo la Francia, per popolazione. Uno stato che fece della libertà politica (per la nobiltà, la servitù slava era trattata molto, ma molto male) e della libertà religiosa la propria bandiera, che unico permise agli Ebrei di accedere alla nobiltà senza dover rinnegare la propria religione. Che si spinse al punto di finire governato da assemblee nobiliari ove vigeva il principio del “liberum veto” anche da parte del più insignificante e squattrinato nobiluomo e che prevedeva costituzionalmente il diritto nobiliare di ribellarsi con le armi al re eletto qualora le leggi dello stato fossero state violate. Si trattò di una scelta identitaria che rese la nobiltà polacca, pur nella generalità fedelissima suddita di Santa Romana Chiesa, unica in Europa, ma fu anche il sistema che alla lunga rese il paese “il campo giochi di Dio” (God’s Playground, è il titolo di una popolare storia della Polonia da parte del divulgatore inglese Norman Davies) e che dal ‘700 in poi lo condusse alla rovina.
Il Sarmatismo ebbe un grande e tragico campione che ha lasciato traccia nella storia d’Europa e che ha avuto la peculiarità di concludere, in definitiva con il fallimento della sua opera politico-militare, questa era: parlo del protagonista del nostro post Jan Sobieski, re di Polonia con il nome di Giovanni III dal 1674 al 1696. Egli nacque il 17 agosto 1629 nel castello di Olesko, oggi in Ucraina vicino a Leopoli, ove risiedeva il padre, Jakub, Voivoda di Rutenia e castellano di Cracovia. La madre era nipote del famoso generale Stanislaw Zolkiewski eroe delle guerre di inizio secolo, caduto combattendo contro i Turchi a Cecora nel 1620. La famiglia apparteneva all’alta, ma non altissima, nobiltà. Il castello era infatti di proprietà dei grandi magnati Koniecpolski. Ebbe una raffinata educazione: dopo il collegio studiò filosofia all’Università Jagellonica di Cracovia e poi insieme con il fratello maggiore Marek effettuò il suo lungo viaggio di prammatica nell’Europa occidentale ove incontrò alcune delle più grandi personalità del tempo, una su tutte il Gran Condè.
I fratelli tornarono in patria nel 1648, anno fatidico, in quanto scoppiò la grande rivolta cosacca di Bogdan Khmelnytsky che mise a ferro e a fuoco l’Ucraina e che inaugurò la lunga serie di sventure per il Commonwealth Polacco-Lituano. Entrambi i fratelli entrarono nell’esercito e crearono i propri reparti di cavalleria con cui si batterono, quali comandanti subalterni, contro Cosacchi e Tartari in Ucraina. Marek nel 1652 fu preso prigioniero a Batih e fu ucciso nel susseguente massacro effettuato dai Cosacchi. Jan si distinse nella vittoriosa battaglia di Berestechko e poi su incarico del re Giovanni II Casimiro fu inviato in missione diplomatica a Istanbul, ove ebbe modo di imparare le abitudini e il modo di combattere dei Turchi Ottomani. Quando nel 1655 scoppiò il Deluge, l’invasione svedese della Polonia, Jan fu messo a dura prova. Nel tipico stile anarchico della nobiltà polacca egli inizialmente stette con gli invasori svedesi; ma poi si ravvide e si riavvicinò al partito nazionale intorno al re. Nel 1656 partecipò alla grande battaglia di Varsavia guidando un grosso contingente ausiliario tartaro. Da allora fu considerato come uno dei principali comandanti militari del regno. La guerra contro la Svezia terminò nel 1660, ma ad essa seguì la guerra con la Russia e una breve ma violentissima guerra civile, ove patì la sanguinosa sconfitta di Matwy ad opera del magnate ribelle Jerzy Lubomirski. Nel frattempo non trascurò l’attività politica, legandosi al cosiddetto partito francese a corte, vicino alla regina, l’italiana Maria Luisa Gonzaga, di cui sposò una delle dame di compagnia, la francesissima Marie Casimire de la Grange d’Arquien, cui sarebbe rimasto intensamente legato tutta la vita dando vita ad un ricchissimo epistolario. La sua carriera militare proseguì di successo in successo negli ultimi scontri con la Russia, i Cosacchi e i Tartari che precedettero la tregua di Andrusovo del 1667, dopo la quale lo spossato Commonwealth ottenne un certo respiro; il 5 febbraio 1668 divenne finalmente Grande Etmano della Corona, ovvero comandante in capo dell’esercito. Con la pace si trovò implicato nelle lotte di fazione. Poichè il re Giovanni II Casimiro, stanco da 20 anni di lotte incessanti e sfortunate, decise di abdicare, scoppiò la lotta per eleggergli un successore, con la nobiltà divisa in bandi opposti. Jan appoggiò l’elezione del Gran Condè prima e dell’elettore palatino poi ma fu sfortunato in quanto il partito asburgico ottenne l’elezione di un grandissimo magnate lituano, Michal Wisnowiecki (Michele I, 1668-1673). Sotto il debole regno di costui Sobieski dovette pensare a difendersi dai propri nemici interni e fu salvato solo dalla propria capacità militare che divenne indispensabile quando nel 1672 il Commonwealth dovette affrontare l’aggressione ottomana in Podolia. Nella guerra egli guidò magistralmente l’esercito polacco e ottenne sugli Ottomani la grande e famosa vittoria di Khotyn l’11 novembre 1673, battaglia che per la fortuna di Sobieski coincise con la repentina morte del re Michele, avvenuta esattamente il giorno precedente. Jan Sobieski emerse quindi come la figura guida di un paese alla ricerca disperata di un’identità e di una riscossa, e come il personaggio ideale per guidare una necessaria riconciliazione nazionale all’insegna della cultura e dell’ideologia prevalente, il sarmatismo appunto. Dopo quasi un secolo di elezioni di monarchi stranieri il 19 maggio 1674 egli fu eletto re Giovanni III.
Aveva grandi ambizioni ma si trovava di fronte enormi difficoltà. Le guerre continue avevano svuotato il tesoro dello stato, che solo durante il Deluge (1655-1660) aveva perso quasi un terzo della propria popolazione. I grandi magnati, che disponevano di effettivi eserciti personali, erano pronti ad allearsi con le potenze straniere, Austria, Svezia, Brandeburgo e Russia, per sostenere i propri interessi qualora in conflitto con il re e con lo stato. Giovanni percepì chiaramente la necessità di riformare profondamente il Commonwealth, modernizzandolo e riformandolo costituzionalmente e mirando a recuperare i territori perduti. Capì benissimo l’intrinseca debolezza dello stato, data dal carattere elettivo della monarchia e dalle eccessive pretese della nobiltà, usa a considerarsi vincolata a niente e a nessuno. Aspirò inoltre ad un nuovo ruolo per il Commonwealth in ambito europeo, volto a guidare la lotta mirante a scacciare i Turchi dall’Europa.
A tutti questi obiettivi si dedicò alacremente, ed inizialmente ebbe successo. Ottenuta dalla Turchia una tregua con la pace di Zurawno nel 1676 si dedicò alla modernizzazione dell’esercito, creando un’artiglieria di prim’ordine. Internamente riuscì a controllare le spinte centrifughe della nobiltà, abbandonando l’alleanza con la Francia in favore di un’alleanza con l’Austria e legando a se uno dei principali oppositori, Stanislaw Jablonowski, che fu nominato Grande Etmano e sarà poi uno degli artefici della giornata di Vienna. Il grande momento del re, che lo consegnò per sempre alla storia, venne nel 1683, quando i Turchi strinsero d’assedio Vienna ed egli guidò l’esercito polacco in soccorso della città assediata e ormai allo stremo. Congiuntosi con l’esercito imperiale di Carlo di Lorena, Sobieski, che ebbe il comando supremo, ottenne la grande vittoria del 12 settembre, che mise fine per sempre al pericolo turco per l’Europa. Qui raggiunse il culmine della propria gloria che tentò di sfruttare negli anni successivi, proseguendo la guerra contro il Turco insieme all’imperatore, a Venezia e alla Russia. Ma non ottenne più i folgoranti successi del passato mentre in patria il prolungarsi della guerra senza significative conquiste o successi a poco a poco iniziò ad indebolire la sua posizione interna. Il suo obiettivo principale era rendere la monarchia ereditaria assicurando il trono al proprio figlio maggiore, Jakub, nato nel 1667. Ma i magnati polacchi non ne vollero sapere, gelosi delle proprie prerogative.
Il 17 giugno 1696 il grande e tragico sarmata, come lo definì Pawel Jasienica, morì di un attacco di cuore nel palazzo di Wilanow a Varsavia. L’anno dopo la nobiltà polacca, a seguito di grandi elargizioni di denaro, elesse re nuovamente uno straniero, Augusto il Forte di Sassonia, che da luterano si fece cattolico pur di accedere al trono. Solo cinque anni dopo il paese divenne un campo di battaglia tra Svedesi, Sassoni e Russi, con i nobili sarmati al soldo dei vari offerenti. Meno di trent’anni dopo il bagno di sangue di Torún, ordinato dal re luterano convertito, segnò “de facto” la fine della libertà religiosa nel Commonwealth. Non era passato un secolo dalla morte di Sobieski quando dopo tre spartizioni l’ultimo sovrano del Commonwealth, Stanislao II Poniatowski, abbandonò Varsavia prigioniero in direzione di San Pietroburgo e la Polonia divenne una provincia russa.
Per approfondire:
Norman Davies, God’s Playground. A History of Poland. Vol.I: The Origins to 1795, New York, NY, 1981
Francesca De Caprio, Il tramonto di un regno. Il declino di Jan Sobieski dopo il trionfo di Vienna, Viterbo, 2014
Pawel Jasienica, The Commonwealth of both nations: II Calamity of the Realm (trad.ingl.), Miami, FL, 1992
Edward Tatham, John Sobieski, Londra, 1881
Sul web:
http://www.wilanow-palac.pl, stupendo sito disponibile oltre che in polacco in francese, inglese e tedesco